Del libero amore

 

 

Del libero amore

(non dimenticando, al punto in cui siamo, la protezione e la prevenzione dalle malattie)

 

Circa la prevedibilità degli eventi futuri, basandosi su quelli passati, Hume dimostrò che questo non è un principio logicamente necessario; senza ,tuttavia, provocare, come conseguenza, che tutto il bagaglio conoscitivo acquisito, della SCIENZA e della FISICA, perdesse valore. Infatti non è meno corretto, dal punto di vista logico, presupporre un universo in cui le leggi fisiche siano diverse e, comunque, ipotizzare che esse non siano uniformi in ogni zona dello spazio.

Ecco che si apre la strada all’”esempio del tacchino”.

Qui è al suo pensiero scettico (pur non pirroniano) che Hume attinge e, come si è sopra evidenziato, conduce verso soddisfacenti risultati.

Ma non meno può dirsi, a mio avviso, della componente naturalistica serpeggiante nel suo pensiero.

Credo, allo stato attuale della mia indagine intellettuale, che non sia peregrino considerare che, se il “libero amore” entrasse (o ritornasse) a far parte dell’essere umano, non in quanto categoria ideologica, come fu per il transeunte periodo degli hippies, ma nella sua caratterizzazione naturale, di qualità fisica appartenente allo svolgimento ovvio, senza alcun ulteriore orpello o aggettivo, della vita (“non fate la guerra, fate l’amore” non più uno slogan ideologico, ma un messaggio esistenziale. Perché no?), i rapporti sociali sarebbero eccellenti, la qualità della vita andrebbe alle stelle, non ci sarebbero scompensi, non ci sarebbero guerre, sparirebbe, certamente, ogni sorta di perversione, che, in un contesto evoluto, non avrebbe alcuna ragion d’essere, non ci sarebbe più alcun bisogno della ricerca della felicità perché l’esistenza stessa della vita la integrerebbe in sé.

Chi sa se e quando ci si potrà arrivare, ma se la domanda è: “ci credi a tutto questo?”, la mia risposta è “decisamente sì! Ci credo con tutto il mio animo.”

Ma, a maggior sostegno, va detto che né io, né altri che la pensano in questo modo, abbiamo inventato nulla.

In molti popoli tribali, che avevano una loro vita libera e semplice, un modo interiore e gioioso di rapportarsi agli altri e alla natura circostante, è stato possibile (per loro sfortuna) constatare, da parte di invadenti visitatori, qualcosa di simile, spontaneamente attuato. Molta letteratura, molti film ci sono in  proposito; pensiamo ai nativi dell’Oceania, del Nord America e dell’Amazzonia, alle isole sconosciute per molti secoli, del Pacifico; a che cosa dovevano essere la Hawaii e la Polinesia, ad esempio, prima che i “civilizzatori” europei e americani ci mettessero le mani, portando le loro leggi, la loro burocrazia, la loro religione, le loro malattie, le loro guerre, la loro economia di sfruttamento, il loro dominio. Paul Gauguin ce ne ha parlato attraverso i suoi dipinti.

Sono questi sentieri, viottoli collaterali, tendenti forse ad unificarsi, percorsi inediti, appartenenti a quel “nuovo contesto del pensiero” di humiana provenienza, nel quale, come credo di aver ampiamente dato atto, mi riconosco in pieno.

La “relatività” della morale, ad esempio, per cui non è possibile, aprioristicamente stabilire ciò che sia giusto o sbagliato è un concetto di particolare raffinatezza intellettuale.

Ciò che desta vicinanza, simpatia, condivisione di felicità o infelicità in alcune epoche o ad alcune latitudini, può non  essere tale in diverse situazioni o condizioni.

Il mito (peraltro, nella crudezza con cui è stato tramandato, probabilmente infondato) del monte Taigeto, dal quale gli Spartani precipitavano i neonati deformi, perfettamente in linea con la “morale” in epoca remota, in  quanto evitava sofferenze e ingiustizie nei confronti degli sfortunati bambini, è assolutamente in contrasto e moralmente “all’opposto” con tutto quanto, proprio in questi giorni, per fare un esempio, sta accadendo intorno alla triste storia di Charlie Gard, il bambino inglese nato con una rarissima malattia che, comunque, lo condurrebbe alla morte.

La “questione morale”  affonda le sue radici, a mio parere, sia nello scetticismo che  nel naturalismo di Hume, o meglio in un mixage tra le due correnti.

Il distacco dal giudizio della ragione, non ha forse a che vedere col rifiuto delle catalogazioni predefinite?

E il legame, piuttosto, con questioni di fatto, e non già con scienza astratta, non richiama alla mente la natura dell’uomo, il suo rapportarsi alla natura che lo circonda?

Ebbene, tutto questo risulta ai miei occhi, perfettamente corrispondente a realtà.

E’ paradossale il rapporto tra libero arbitrio e determinismo, in quanto porta all’inconsistenza del primo, sia con riferimento al determinismo che all’indeterminismo; atteso che, nel primo caso, non ha ragion d’essere; nel secondo caso, una volta che l’operato dell’uomo è affidato a dinamiche scoordinate e incontrollate, nessuna valutazione è formulabile su di esso.

Cosa vuol dire, allora, questo?

Che la Religione Cristiana, che fa del “libero arbitrio” una sua colonna portante, si fonda sull’INCONSISTENZA?

Questa è una domanda senza risposta.

Ma se al LIBERO ARBITRIO sostituiamo la PREDESTINAZIONE?

Anche questo ci lascia in sospeso perché proprio su tale tematica si basa la RIFORMA PROTESTANTE e tutto il seguito: l’illuminismo, il riaffermarsi dell’imperialismo, fino a giungere al Mondo d’oggi, e cioè?

L’AUTODISTRUZIONE del MONDO? Anche questa strada è senza sbocco.

Un importante punto sul quale sono in disaccordo con il pensiero di Hume è quello del fondamento della religione nella natura umana.

Secondo Hume, col progredire della civiltà si afferma il monoteismo.

Ma qui, a mio avviso, c’è più di una frattura nel pensiero:

Innanzitutto il “progredire della civiltà” ormai sempre più, e probabilmente in modo irreversibile, si sta rivelando un fenomeno INVOLUTIVO, non EVOLUTIVO, perché alla fine la STESSA CIVILTA’, con le sue SCOPERTE e le sue INVENZIONI, ci porterà alla DISTRUZIONE.

Ora, se l’excursus religioso si adegua ad essa, sarà, molto probabilmente, a sua volta INVOLUTO.

Del resto, mi chiedo, perché mai le RELIGIONI POLITEISTE, anche quelle antiche e ormai confinate nella MITOLOGIA, furono abbandonate?

Zeus, Atena, Afrodite, Poseidone ecc. non potevano essere, a loro volta, una interpretazione religiosa meritevole di attenzione?

Dobbiamo ringraziare il pensiero cristiano, più che quello laico, se tutto quel mondo che sull’antica religiosità, prevalentemente, si basava, è stato DISTRUTTO; una anteprima della DISTRUZIONE TOTALE? Probabilmente sì.

Inoltre se risaliamo alle religioni tribali e spiritistiche, troviamo spesso un solo SPIRITO INFORMATORE, il che smentisce la teoria di Hume.

Sarei più portato a credere che la RELIGIONE è una forma di POESIA della VITA, che analogamente alla SCIENZA e alla FISICA, come alcuni tra i più grandi scienziati sostengono, e lo stesso Einstein affermava, contribuisce alla CONOSCENZA dell’Universo, della sua origine (se c’è mai stata), della sua natura, della sua fine (se mai ci sarà).

Sono invece d’accordo col filosofo scozzese circa l’inaccettabilità delle tesi che denigrano e deridono il paganesimo, in quanto INFONDATO, incredibile, meramente immaginario.

Che cosa dire, allora, dei DOGMI del cattolicesimo? La “presenza reale” dell’Eucarestia, la “verginità” della Madre di Cristo e così via?

Infine accenno qui al problema della bellezza.

Hume la ritiene fondata su un sentimento che permette l’universalizzazione del giudizio estetico.

Questo mi riporta a Dostoevskij: davvero “la bellezza salverà il Mondo”?

Pur attraverso una apparente discordanza di pareri, quello che piace o non  piace è uguale per tutti?

Anche qui, allo stato attuale del percorso, non mi sento di dire altro che bisogna intendersi sul CONCETTO di BELLEZZA:

Illusione o verità?

Pur saltando di palo in frasca e con approssimazione e grandi vuoti, credo di aver tratteggiato punti di interesse con riferimento a David Hume, uno dei grandi “empiristi britannici”.

Di più  non sento, qui, di poter dire.

E’ quanto (appena) sufficiente per proseguire nel progetto di delineare una nuova strada e iniziare a percorrerla, come mi ero riproposto fin dall’inizio.

Per finire questa prima parte del cammino, dunque, non esitiamo a fare un salto di oltre 2 secoli e ½ e così, ritorniamo ad oggi, a quel “famoso” Nassim Nicholas Taleb dal quale, sostanzialmente, eravamo partiti.

Non c’è più, decisamente, alcuna avversione, grazie anche al nuovo contesto di pensiero che può favorevolmente ispirarci, contro questi balzi storici “olimpionici”.

Provvisoriamente (pag.69), il libro più volte menzionato del prof. Taleb, conclude nei seguenti termini ai quali anch’io (provvisoriamente) mi associo:

Ancorché in presenza del problema incontrovertibile del “cigno nero”, non è detto che bisogna necessariamente accedere allo SCETTICISMO ESTREMO.

L’importante è “non essere un credulone nelle cose che contano, punto e basta”.

Alla osservazione che la consapevolezza di correre dei rischi attraversando una strada, dovrebbe indurre a non attraversare più una strada, la risposta è:

nessuna pretesa di EVITARE assolutamente i rischi, e, parimenti, nessuna FOBIA totale verso i rischi; l’importante è “EVITARE di ATTRAVERSARE la STRADA con gli OCCHI BENDATI”.

 

Situazione estrema? Esempio di scuola? A ben vedere, direi proprio di no.

Dovremmo dare un’occhiata alle statistiche di persone che attraversano o guidano, guardando messaggi sull’Iphone o scrivendone, o soffermandosi sui network, ecc.; e alle statistiche circa le conseguenze di questa diffusa, sciagurata, abitudine dei nostri giorni.

 

FINE PRIMA PARTE

 

Alberto Liguoro