Hong Kong non è lontana (e Mosca quanto è distante?)

 

 

1) Hong Kong consensus

 

Riprendo il percorso dalla bianca strada di brecciame, già tracciata nella PRIMA PARTE.

Pur nella sua brevità, provo a mettere qui una prima PIETRA MILIARE:

HONG KONG

Come è possibile? Una località così lontana, come pietra miliare già dopo qualche chilometro, tutt’al più?

Ma nessuna meraviglia può suscitare questo, perché non si tratta di quella geografica; è di una Hong Kong MENTALE che parliamo.

E’ vicina, qui dall’Italia, come se partissimo, su una mappa terrestre, verso di essa, da una Sha Tin, o da Aberdeen.

Credo proprio che Hong Kong sia un CIGNO NERO, secondo il pensiero di Nicholas Taleb, e possa essere un riferimento emblematico in tal senso.

Ma ciò non tanto rispetto alla sua collocazione nell’”incorporante” stato totalitario cinese, disciplinata da accordi internazionali, leggi concordate ecc.; quanto rispetto all’atteggiamento ipotizzabile dei nuovi amministratori cinesi, con consenso popolare, da ritenersi abbastanza scontato, rispetto all’imperialismo inglese (uno degli imperialismi diffusi nel Mondo).

Il 1 luglio 1997, esattamente 20 anni fa, dopo 156 anni di dominio coloniale inglese, Hong Kong, all’esito di un complicato e intrecciato excursus politico e diplomatico, e una procedura molto farraginosa e meccanicistica, è tornata a ricongiungersi alla madrepatria Cina.

Per quanto tutto fosse da tempo organizzato, disciplinato, indirizzato, al momento del “passaggio”, ci furono grandissime manifestazioni di giubilo e festeggiamenti da parte della componente più radicata nella “cinesità” della popolazione, quasi un’esplosione, una liberazione; peraltro ci furono drammatiche scene di sconforto, di panico e di isteria tra coloro che paventavano drastici cambiamenti, prevalentemente riconducibili alla componente della popolazione, di riferimento “anglosassone”.

Ma, in  realtà, che cosa accadde?

Troppo semplicistico dire “nulla”.

Laddove le aspettative erano che la Repubblica popolare cinese, immensa, anche per estensione territoriale e per intensità della popolazione, fagocitasse la minuscola Hong Kong, si affermò, invece, quello che, per dirlo alla De Masi, sulla falsariga dello studioso americano Joshua Cooper RAMO, chiameremmo l’Hong Kong consensus, quasi in antinomia al Beijing consensus e addirittura, dal punto di vista delle implicazioni politiche, più prossimo al Washington consensus, che non a Pechino.

Nulla cambiò per Hong Kong; molto invece cambiò, gradualmente, per il resto della Cina.

Al contrario delle attese, fu proprio il lembo di terra di Hong Kong ad influenzare i cambiamenti nell’immensa Cina, che, da “Paese in via di sviluppo”, divenne l’unico Paese al Mondo ad avere 3 Borse valori, collocabili nelle prime 20 Borse mondiali: Shanghai, Shenzhen e Hong Kong.

E così accade che la Cina che, sulla carta, dovrebbe essere portabandiera dell’antinquinamento mondiale, ha le città più inquinate del Mondo, a partire da Pechino, e troviamo violazioni dei diritti umani tra le più obbrobriose al Mondo, in Paese che è nato dalle lotte di liberazione e dalle grandi idee rivoluzionarie.

 Un paradosso! Come l’altro, dall’altra parte del Pacifico:

Il tenore di vita degli Stati Uniti d’America, al quale, in astratto, aspirerebbero, tutti o molti altri Paesi, se fosse diffuso in modo dilagante nel Mondo, non basterebbero 5 Pianeti “Terra” a sostenerlo.

Questo è il punto in cui siamo.

Ora non possiamo dubitare che il COMUNISMO, per quanto sistema economico-politico attualmente fallito (peraltro NON “morto”), in linea generale, nel Mondo (ma, curiosamente, non in Cina, ad esempio, sia pure con le attuali diversificazioni e trasformazioni), ed, in particolare il COMUNISMO MAOISTA, sia stato (e sia) un tentativo, sia pure caratterizzato più da errori e gravi devianze di attuazione, che da aspetti  positivi, di miglioramento della qualità della VITA, di affermazione del RISCATTO dell’Uomo dalla miseria, dalla prevaricazione da parte del suo simile, dall’ignoranza, dalla frustrazione esistenziale e verso il futuro.

In teoria non c’era dubbio che il nemico da odiare, per il popolo cinese, e per gli Organi istituzionali alla guida del Paese, fosse l’Imperialismo, in tutte le sue forme: quello  americano (la guerra del Viet Nam ha segnato un’epoca e più di una generazione), quello “storico” giapponese, in gran parte, e con i dovuti adattamenti, quello sovietico, ma soprattutto, nel caso specifico, con riferimento ad Hong Kong, quello inglese.

Eppure è accaduto, in concreto, tutto quanto sopra, sinteticamente, descritto; e cioè esattamente l’opposto.

Per di più la produzione consumistica cinese si è imposta essa stessa, come una forma di “nuovo” imperialismo, non più con armi e conquista di territori, ma con multinazionali e conquista di mercati.

Come mai?

Ecco il “cigno nero”, l’imprevedibile: Hong Kong, il cigno nero come emblema.

La questione è un po’ simile qui, all’esempio del tacchino, tratto da Taleb, dagli antichi scettici.

Il fatto è che il tacchino non riesce ad andare oltre, guardando indietro nel tempo, al suo vissuto; non ha la capacità e la volontà di verificare e ricordare, ad esempio, che cosa accadde ad altri tacchini, il Giorno del Ringraziamento, negli anni precedenti.

Stando così le cose, è, indubbiamente, inutile andare a ricercare le cause col senno di poi, come spesso è accaduto nella Storia, e altrettanto cercare spunti per tentare di “prevedere” il futuro, sulla base dell’esperienza passata; ma, contemporaneamente, prodigarsi in uno sforzo mentale per  cercare di risalire ad un passato più remoto, non va tralasciato, secondo me; valorizza il ruolo della storia, il senso del tempo, che, altrimenti, sarebbe trascorso invano e può essere di grande aiuto.

Forse il nocciolo della questione è tutto qui.

Tuttavia, da un CIGNO NERO, può anche derivare qualche lezione.

E’ la logica corrente stessa che ce lo dice, e sarebbe illogico affermare categoricamente il contrario.

Non siamo in presenza di una bestia misteriosa, o di magia; è la vita di tutti i giorni quella di cui, qui, stiamo parlando.

E’ come fare in modo di attraversare la strada  e abituarsi a farlo, senza bendarsi gli occhi, o guardare messaggi e commenti sui telefoni cellulari.

E quale è la lezione da trarre qui?

Il sistema politico cinese, pur agguerrito e, in linea di principio, antimperialista, anziché ricondurre la “colonia” Hong Kong, nei binari ritenuti “corretti” della giustizia sociale, della distribuzione delle risorse, della parsimonia e della salvaguardia delle riserve, del miglioramento della qualità della vita ecc. che cosa fa?

Incrementa l’Hong Kong consensus, e ne diviene quasi, esso stesso colonia.

Questo vuol dire qualcosa.

A mio avviso vuol dire che è pur vero che il capitalismo assoluto, l’imperialismo dilagante, sotto varie forme: dalle multinazionali, ai colossi finanziari, agli Stati autoritari, al consumismo indotto, al degrado ambientale che, ineluttabilmente, ne deriva, conducono il nostro Pianeta all’AUTODISTRUZIONE; tuttavia non si può teorizzare l’uscita semplice e diretta da tutto questo, di punto in bianco. Sarebbe abominevole e fallace.

Se la Cina comunista avesse fagocitato Hong Kong, snaturandone l’anima, ne sarebbe derivato unicamente degrado, squallore, miseria.

Il fatto che sia accaduto il contrario, comporta, indubbiamente, un consistente contributo all’accelerazione del Doomsday Clock, dell’Apocalisse in terra. Ma, girando e rigirando il discorso, non c’erano altre praticabili scelte, anche per i riflessi e i rapporti di forza internazionali.

Il problema di fondo è che nell’IMPERIALISMO, meglio sarebbe stato se l’Uomo non ci fosse proprio entrato; ma, una volta che ci sei dentro, le opzioni sono, oserei dire, di spartana crudezza:

o ti comporti e ti rapporti in un certo modo, e cerchi di fare un mixage di pragmatismo, gradualismo, occhio alle leggi di mercato ecc.

oppure sei FINITO.

C’è poco da fare. Ecco questa potrebbe definirsi

la regola del RINVIO”.

 

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