L'ULTIMO VERMEER

L’ULTIMO VERMEER

Film molto interessante, con ottimo cast, dove, con la scusa di raccontare la storia (romanzata) di quello che è stato forse il più abile falsario d’arte del XX° secolo, soprattutto dei quadri del grande artista olandese del XVII° secolo, Johannes Vermeer, il suo connazionale Han Van Meegeren, vengono affrontate tematiche di grande rilievo con riferimento all’arte e alla vita in generale, soprattutto con riguardo ai momenti critici, dove è più facile giudicare dall’esterno delle vicende prese in  considerazione, e col senno di poi.

Due momenti, in particolare, del film, mi hanno colpito; uno, appunto, con riferimento all’ARTE, e l’altro con riferimento alla VITA, che vorrei commentare:

 

Quello con riferimento all’ARTE

ha due punti culminanti, due picchi, in due frasi ben proposte nella sceneggiatura del film, che l’attore australiano Guy Pearce, pronunzia attraverso le parole del loquace Van Meegeren.

Una di esse, a mio avviso, è assolutamente vera e condivisibile; l’altra, sempre a mio avviso, no, o meglio non in una interpretazione classica del concetto espresso.

( Modifico un po’ per farmi comprendere)

 

CONDIVISIBILE:

“Perché i critici, gli esperti, i mercanti, i collezionisti, i frequentatori generici di mostre, gallerie ecc. danno valori altissimi, a volte da capogiro, ad opere d’arte che sono costate certamente molto meno di materiale, tempo, lavoro, abilità, a volte pochissimo; e parimenti come ideazione, creazione, intelletto, spiritualità, riproduzione mentale che è, a volte, immediata, senza nessuno sforzo, per quanto in genere richieda molto?

Perché viene premiato il coraggio, nonché la forte volontà dell’ARTISTA che, in effetti è un condannato. Ecco poerché!

E’ condannato a passare IN MEZZO, tra il fuoco divorante e intenso delle valutazioni provenienti dai POTENTI, cioè coloro, tra quelli sopra nominati, che si qualificano, o vengono qualificati come GIUDICI SUPREMI e INDISCUSSI di ciò che è ARTE e ciò che NON lo è, da una parte, e, dall’altra parte, la palude infida, avvolgente, mefitica del VOLGO, il POPOLO GENERICO, che può osannarti o affossarti, senza neanche dover dare una spiegazione, forse senza neanche conoscerti.”

A questo punto l’interlocutore dice al falsario: “Peccato! Se avessi osato passare anche tu tra il fuoco e la palude, saresti stato a tua volta un grande artista; senza bisogno di falsificare le opere degli altri.”

L’altro tace.

Trovo in tutto questo, una riflessione davvero di grande qualità, una sintesi di metis e thesis incredibile che spiega bene quel che vuol dire e merita approfondimento e argomentazioni non peregrine, studio, ricerca.

Possiamo dire che non è più neanche questione di valore economico.

Chi sfugge al “fuoco” e alla “palude” NON è un ARTISTA.

 

NON CONDIVISIBILE:

 

Quando il difensore di Van Meegeren getta una bottiglietta con un  preparato chimico idoneo ad intaccare una tela moderna, ma non una tela antica, su un dipinto asseritamente di Vermeer, “Cristo e l’adultera”, per dimostrare che è un FALSO, così come sono FALSI tutti i dipinti presenti nell’aula del tribunale di Amsterdam, per far in modo di salvare Van Meegeren dall’accusa che gli era stata rivolta, dopo la fine della guerra, di aver collaborato coi tedeschi, vendendo loro preziose opere d’arte, il che avrebbe comportato la pena di morte, sia pure dovendo accettare la qualifica di FALSARIO, di fronte allo sfrigolio dell’acido che attesta la contraffazione dell’opera, così come di tutte le altre nell’aula, e quindi salva la sua vita, Van Meegeren esclama:

“Visto che paradosso? Queste opere fino ad un minuto fa avevano un valore INESTIMABILE (infatti per quanto FALSE erano PERFETTE), ed ora, improvvisamente non valgono più niente!”

Bene, questo, secondo me è ASSOLUTAMENTE sbagliato.

Quelle OPERE non valevano niente neanche PRIMA, perché mancavano di un elemento FONDAMENTALE per un’opera d’arte, l’ORIGINALITA’; anche se era in atto un grande INGANNO per cui tale aspetto rimaneva, almeno momentaneamente, occultato negli artifizi e raggiri necessari per realizzare l’imbroglio.

 

Resta fuori da tutto questo, come accennato in premessa, la particolare situazione che la FALSIFICAZIONE stessa sia una forma d’arte, in senso performativo.

E’ una sorta di provocazione, che può anche essere molto qualificata, una performance, appunto, che si propone da sé.

Quale è la differenza rispetto ad una banale falsificazione?

Nella PERFORMANCE manca l’INGANNO; l’artista apertamente esplicita che quel che propone è COPIATO o ALTERATO; come facevano i PERFORMERS giapponesi che tappezzavano le loro abitazioni di banconote false,  a costo di farsi arrestare, nel qual caso il processo giudiziario stesso che subivano, costituiva la loro performance.

Quale è il punto focale?

E’ che qui l’artista, il performer, non si nasconde, passa appunto tra il FUOCO e la PALUDE.

Poi… la maggiore o minore QUALITA’ è STORIA di VITA.

 

Per quanto riguarda il RIFERIMENTO che troviamo nel film, alla VITA, la QUESTIONE è controversa e si risolve in una DOMANDA

Il genialoide, a modo suo, Han Van Meegeren sosteneva che confezionava dei PERFETTI FALSI che vendeva a CARO PREZZO, come autentici, ai NAZISTI e, in particolare a Hermann Goering che si proclamava conoscitore e collezionista, traendoli così in inganno.

E, in tal modo, realizzava la RESISTENZA, in Olanda, a modo suo, non mancando di fare la bella vita, tra feste e sesso (tra l’altro, in una foto di tutti i partecipanti ad un ballo di gala, appare accanto al pittore/falsario, anche l’immagine di Cootje, la moglie del suo difensore, il capitano Joseph Piller. Questo comporterà la rottura dei rapporti tra i due. Lui le rinfaccia di essersi divertita con i nemici occupanti, come una puttana, senza vergogna, mentre suo marito combatteva nella Resistenza non potendo rimanere con la famiglia in quanto ebreo. Lei non dice nulla, ma se ne va; ritorna, insieme al loro figlio di circa 10 anni, da suo padre).

La versione di Van Meegeren regge, e nel processo penale che subisce per TRADIMENTO e collaborazione col nemico, ottiene piena vittoria, grazie anche alle investigazioni e argomentazioni del suo difensore Joseph Piller, sarto olandese ebreo, passato attraverso la Resistenza in modo più aspro e duro rispetto al suo assistito, e poi arruolato come ufficiale nell’esercito inglese, improvvisatosi avvocato.

Ad un certo momento, però, viene fuori, in modo inatteso, da alcuni documenti abbandonati dai tedeschi in fuga, un catalogo di una mostra di opere d’arte, da Van Meegeren allestita, durante l’occupazione, con una sua accorata dedica; e tale dedica è all’ “amato Führer, con tutta l’ammirazione e l’affetto”.

Qui, il suo amico e difensore resta deluso, amareggiato e in dubbio se divulgare questa “doppia vita” del suo assistito al quale aveva attribuito, fino a quel momento, solo sentimenti e comportamenti onesti e leali (anche se non proprio virtuosi).

Nel momento in cui il capitano Piller contesta al suo amico/cliente, nonché incredibile, bizzarro, eclettico, pittore/falsario, combattente civile a modo suo, Han Van Veegeren, quello che ha scoperto, quest’ultimo gli dice qualcosa che rimane, appunto così, come una domanda in sospeso, a mezz’aria; qualcosa come:

“Quando ero giovane e non avevo soldi, cercavo di guadagnare qualcosa per vivere e per questo non potevo sottrarmi ad alcune cose, per quanto con la morte nel cuore; le nostre vite e le nostre famiglie erano in pericolo. I Nazisti erano occupanti, erano feroci, sprezzanti, spietati, e noi? Siamo stati colonialisti, abbiamo ucciso, distrutto, stuprato ridotto in schiavitù, eppure ora le statue dei nostri condottieri, dei nostri conquistatori, riempiono le strade e le piazze delle nostre città. Perché?”

Il capitano Piller, ormai tornato alla vita civile, camminando per strada, incontra tra le macerie della città di Amsterdam, alcuni senzatetto che si riscaldano con un improvvisato braciere; dopo aver un po’ esitato, butta tra le fiamme, il catalogo trovato.

A questo punto Piller si reca, in campagna, alla casa paterna di Cootje, per rivedere suo figlio e riappacificarsi con sua moglie.

Qui non c’è altro da aggiungere.

Ognuno poi avrà le sue considerazioni e le sue argomentazioni.

 

Forio 2/02/2022                                                                                 Alberto Liguoro