18.6.2022 - 18.6.2012 DIECI ANNI DOPO

 

 

 

FALCONE e BORSELLINO

30° anniversario

 

Giovanni FALCONE

Francesca MORVILLO

Vito SCHIFANI                                                             Capaci 23 MAGGIO 1992

Antonio MONTINARO

Rocco DICILLO

 * * *

Paolo BORSELLINO

Emanuela LOI

Vincenzo LI MULI

                                                                                         Palermo 19 LUGLIO 1992

Agostino CATALANO

Walter Eddie COSINA

Claudio TRAINA

 

Sabato 18 Giugno 2022

 

Non appartengo al novero di quelli che, dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, erano amici quasi fraterni, frequentatori abituali, le vacanze insieme ecc. pur provenendo dalla Magistratura, ed avendo un’età molto prossima alla loro.

Borsellino non lo conoscevo affatto; Falcone l’ho incontrato solo una volta, in occasione di un convegno di Magistrati a Milano, ma non ci fu neanche occasione di scambiare qualche parola.

Lunedì 18 Giugno 2012

Sono appena rientrato in studio dal Palazzo di Giustizia di Milano dove, come in altri Palazzi di Giustizia e Pubblici Edifici, in occasione del 20° anniversario dell’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, Morvillo e gli agenti di scorta, è stata allestita una mostra di fotografie, giornali ed altri documenti, commemorativa, “per non dimenticare” come si dice sempre.

Mi sono soffermato un po’ di tempo ad osservare e meditare.

Sono quindi uscito profondamente, intimamente, immensamente sdegnato e vi dico perché:

Perché due uomini che facevano il loro dovere sono morti ammazzati e con loro sono morte altre persone che facevano il loro dovere, coinvolte in quel progetto di morte, e la moglie di uno dei due magistrati, anche lei magistrata, è rimasta uccisa indiscriminatamente, solo perché era lì.

Perché si sapeva che erano “morti viventi”; lo sapevano tutti, come si sapeva di Dalla Chiesa, di Cassarà e tanti altri, e nessuno ha mosso un dito per evitarlo, a parte l’alibi delle scorte, che è un modo di “essere a posto”, di essere rieletti o confermati, ma a che prezzo!

Un modo di far morire altre persone; il che, per la gloria del sommo cinismo, aggiunge poco o niente allo sfacelo, e dà tono ai funerali di Stato.

Perché un pool di magistrati lavorava bene, con metodo e con risultati contro la piaga della mafia, ed è stato smantellato.

Perché ho visto, su un manifesto, riportati tutti i morti di mafia dal 1892 ai nostri giorni; una vera strage di potenzialità, di intelligenze, di forze umane e intellettuali, ma soprattutto di persone, anima e corpo; ebbene sono quasi di più i morti, e più eccellenti, negli ultimi 20 anni, che nei precedenti 100 anni. Questo vuol dire che non si è mai fatta una vera lotta alla mafia.

Perché sono morti inutilmente, perché la mafia dilaga, si ricicla, si accorda, si legittima, e tutto il passato è semplicemente archiviato.

Perché ci sono sempre state grandi celebrazioni ai funerali; funerali che, semplicemente, non vorremmo.

 

Ma tutto questo non basta sentirlo dentro, bisogna dirlo e continuare a dirlo incessantemente; a chi?

A tutti: politici, intellettuali, sindacalisti, imprenditori, associazioni, partiti, preti; bisogna dirlo a “abbiamo arrestato tutti i mafiosi tranne due” e allora poniamo rimedio a questo vulnus! Voi stessi adoperatevi in questo senso, se davvero volete voltare pagina, volete un’Italia migliore, con un futuro migliore per tutti. Bisogna dirlo alla società civile: riempiamo questo vuoto, finalmente!

 

Tutto questo marcio, questo modo di vivere, prima ancora di tutta questa mafia, ci toglie la fantasia, ci toglie la vita, la poesia; ci toglie la speranza di vivere in una società, in uno Stato la cui classe dirigente sia composta da uomini onesti, capaci di farci progredire e migliorare, dove si possa ridere in modo schietto, pieno; non costituita da Eroi che ci fanno piangere e basta!

 

Questa società, così com’è, questi valori sociali che si riallacciano direttamente a simboli del nostro recente passato, sono senza amore e senza gioia.

 

Stazione Centrale di Milano

Sono in fila alla biglietteria e guardo i bassorilievi, ora in via di restauro come tutto il resto, in vista dell’Expo 2015. Sono gli stessi, nel genere, del coevo Palazzo di Giustizia.

 

Uno, in particolare, li riassume tutti:

2 templi sullo sfondo, ai lati, simmetrici, di vago stile grecizzante, ma con croce sul frontone, colonne massicce, potenza, austerità, come confermato dalle due teste di leone nella parte anteriore, protettive, categoriche, aggressive, indiscutibili.

Al centro una donna piacente, ma fiera, sobria, coperta, non seminuda come le discinte, sensuali femmine francesizzanti della libertà e progresso dell’età dei lumi; lei seria e seriosa,  tiene in grembo un affastellarsi di frutti, spighe, uva, così come terrebbe in grembo il frutto del suo essere soprattutto madre, mostra di aver accettato, forse digerito, l’imposizione del regime; accanto a lei il vero homo novus, a sua volta serio e serioso, muscoloso, torso nudo (è la fatica), moralizzato, peraltro, da una rassicurante mezza tunica (probità e virtù lo vogliono), non come gli ignudi guerrieri liberty della rivoluzione e della immaginazione, appena sfiorati da uno svolazzante drappo cadente o decadente; e, proiettato verso un futuro severo, sicuro e onorato, tiene tra le mani una vanga stilizzata che è già quasi un’arma, un giavellotto. Ambedue si appoggiano ad un centrale e perfettamente simmetrico e proporzionato fascio littorio, con l’ascia puntata verso un destino di gloria, di sopraffazione e dominio dell’Italia fascista, ma soprattutto dei gerarchi e gerarchetti, forze armate, forze governanti, classe dirigente sia industriale che latifondista.

E tutto il resto? Spirito dialettico e di innovazione, di dissenso anche, arte, libertà di pensiero e di critica, cultura di ampio respiro? Roba per froci, si sottintende, per deviati, comunisti, puttane, miscredenti, negri, ebrei, perché no? E così via.

 

Ecco, in questo ambito, in questa cornice o contesto sono inchiodati, intrappolati, invischiati e celebrati, visivamente anche, nel peloso ricordo ufficiale e istituzionale, Falcone, Borsellino e tutti gli altri.

 

Questo progetto, questa architettura di società che, in gran parte ancora oggi sopravvive in Italia, non è dissimile dalla società mafiosa. Sembra paradossale ma non è così, non lo è affatto.

Questo è il male dell’Italia; il sangue avvelenato dell’Italia.

 

Va detto che persino l’iper-contagiata, compressa e ingozzata Germania, da questo tipo di società, pur essendo stata investita in pieno, negli anni bui, dall’esaltazione enfatica delle dittature, pur avendone ricevuto un gravissimo male, con gravissime conseguenze, poi è riuscita a liberarsene.

Noi, invece, siamo ancora qui. Ancora oggi siamo portatori di quel dna, di quel sangue infettato, ma non ancora del tutto marcio.

 

Se si osservano i simboli, se si guarda al senso, alla direzione di sottomissione e trionfo dell’arroganza verso cui, questa idea di società è indirizzata, se si ha riguardo ai legami, ai patti con l’altra grande istituzione di controllo delle famiglie e delle dinamiche sociali in Italia, che è la Chiesa Cattolica, e tanti altri indici, come il rifiuto di tutto ciò che non è conformista e controllato dai vertici, e il disprezzo verso tutto ciò che è diverso dal punto di vista progettuale, culturale ed esistenziale, l’assioma è evidente.

Di tutto questo sono stati vittime Falcone e Borsellino e gli altri, non certo del pittoresco quadro dell’uomo di montagna con la coppola e la lupara (che riassume in sé quelli che oggi chiameremmo i pericolosi latitanti, braccati, e qua e là catturati) che ormai è conosciuto, è scovato, è sotto l’occhio del riflettore, è antiquato anche, e fa da parafulmine e da specchietto delle allodole; bensì di tutto quello che s’è detto, degli uomini e delle donne che “si appoggiano” ad un’economia, ad una mentalità, ad un concetto di società mafiosa.

E tutto questo, come li ha uccisi, così, contestualmente li loda, li esalta e li celebra, come emblematicamente, in modo semplice, ma estremamente efficace, fu ricordato dalla moglie dell’agente Vito Schifani che ai funerali di Falcone, Morvillo e gli uomini della scorta, parlò nella chiesa di San Domenico a Palermo, mentre, con significativa cadenza intermittente, il prete le allontanava il microfono dalle labbra.

 

Una volta morti, tutti sono Grandi. Questa è la filosofia e la logica di questa società.

 

Questa società vuole morti, e pertanto Grandi, tutti quelli che sono impegnati nella lotta contro la mafia, ma non solo loro.

Questa società vuole noi tutti Grandi. Ci vuole, ci preferisce, cioè, morti piuttosto che liberi.

Per questo è una società di Eroi.

Per questo io dico: basta!

Vorrei vivere in una società senza eroi, una società di persone normali, di bravi professionisti e persone di grandi interessi in tutti campi, di promozione delle idee, di grandi possibilità di scelte per le future generazioni, di magistrati che fanno il loro dovere e lo fanno bene, senza che ci sia alcun bisogno di dare in olocausto la propria vita; un cittadino vorrebbe, forse, vedere trattata la propria pratica giudiziaria o amministrativa da un Eroe?

Senza bisogno alcuno che su questo olocausto vengano a gravare le giustificazioni per tanti altri comportamenti che non meriterebbero alcun consenso, ma solo voglia di cambiare; dove gli avvocati siano considerati dei contraddittori, dei professionisti più o meno qualificati, avversari nell’interesse dei principi democratici e di civiltà, non nemici da stroncare; dove ci sia un sistema giudiziario che preveda, tra accusa e difesa, una equidistanza non mistificatoria e fittizia come è oggi (è sotto gli occhi di tutti che Pubblico Ministero e Giudice sono un’anima sola), ma vera ed effettiva, come è richiesto da una società democratica e moderna; dove i politici, di destra o di sinistra che siano, abbiano a cuore il bene del Paese, non i propri affari e il proprio tornaconto, che nel bene del Paese, sono certo legittimati a prosperare, ma non a suo discapito; dove ci sia una scuola che insegni la vita civile e non la vita come quella del bassorilievo; dove non si abbia paura delle parole… ce lo hanno, recentemente, raccomandato Fazio e Saviano… dove una “cosa nostra” sia una cosa che ci riguarda, non altro, “Forza Italia!” sia un’incitazione dettata dall’amor di Patria, del proprio Paese, della propria squadra anche, non altro; dove se sono un disabile, sono un disabile, non, ipocritamente, un “diversamente abile”, se un cieco, un cieco, non un “non vedente”, dove un nero è un nero e non un “abbronzato” (“negro” è dispregiativo, ma almeno non è melenso), il culo è culo, nel senso anatomico del termine o nel senso idealizzato di fortuna (alternativamente a “mazzo”), non è “di dietro”, “lato B”, “deretano”, ecc., dove una mignotta è una mignotta, tutt’al più una cortigiana, ma una “escort” che roba è? Una società dove tanto la letteratura, la poesia, la musica, il cabaret, il cinema, la moda, quanto la volontà popolare, la ricerca in tutti campi, siano tra di loro armoniche, intrecciate e tra le cose più importanti; e chi più ne ha più ne metta.

Così come ognuno può aggiungere tante altre cose in base alle innumerevoli esperienze delle quali di tanto in  tanto si sente parlare.. Ma…. COME SI FA?

Beh, prima di tutto… sempre RIMBOCCARSI le MANICHE.

(Forio 1.3.2020)

 

Per il mio blog COMPRENDERSI

 

10 ANNI DOPO che cosa è cambiato?

La domanda non è retorica;

ci sarà pure una risposta convincente,

 

Pagani 22.6.2022

 

Alberto Liguoro